Siamo molto contenti di avere nella nostra piccola associazione Stefano, ormai compagno di allenamento serale alla Barsanti.
Personalmente sono proprio felice di esserci trovati, di essere in amicizia, e di condividere la passione e l’amore per le arti marziali cinesi, in libertà ed ognuno con le proprie metodiche e […]
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Colazione è un lavoro a cui tengo moltissimo, forse il più intenso che abbia mai realizzato. Per me molto importante sia dal punto di vista pittorico, sia dal punto di vista tematico e sociale: in entrambe i casi questo lavoro è stato frutto di lunghi pensieri e ripensamenti, di assimilazione dell’arte dell’incredibile Xu Weixin – pittore cinese realista contemporaneo e, per fortuna nostra, vivente – metabolizzazione di certe tematiche sociali che ho vissuto direttamente nella Cina non proprio turistica, tantomeno famosa e famigerata così come riportata dal 99,9% dei media quotidianamente.
Ad aver potuto scegliere, avrei di gran lunga preferito il più infimo riconoscimento a questo lavoro che la premiazione di Peonie, tantopiù che reputo Peonie tecnicamente molto più semplice e molto peggio eseguito di Colazione.
Senza contare le tematiche sociali oggettivamente espresse: personale impegno e volontà a discutere e testimoniare tanto della condizione lavorativa operaia cinese – del nostro emisfero -, quanto dell’evidente e forse del tutto personale necessità e centralità dell’interazione tra popoli e culture.
Adesso, comunque, le mie energie si concentrano intorno ad un lavoro di carnet di viaggio sulla città di Lijiang, in attesa ed in preparazione all’agognato incontro con Faravelli di fine Luglio.
Spero solo che nelle prossime edizioni del Premio Italia e di altre manifestazioni si possa aspirare a partecipare con un lavoro a matita in sezione diversa da quella stessa in cui si gareggi con fotografie ed opere di grafica eseguite con supporti diversi dalle proprie mani, da un temperamatite e dalla gomma pane…
Grazie a Marzia per i suoi consigli e per l’insegnamento prezioso, a Clau per aver avuto la pazienza di guardarmi lavorare ed a Simone per il suo instancabile lavoro!!!
Colazione – 早饭 Zaofan
matita colorata su cartoncino nero,
cm. 65 x 50
Colazione – 早饭 Zaofan
ma quella mattina dei primi di Ottobre del 2005, appena tornato dai mesi di Pechino, con la crisi di astinenza da Baozi appena cotti sui panieri impilati, con il profumo di pane dolce, caldo del vapore succulento. Tutto questo mi fece deviare dalla mia destinazione: San Donnino, il lavoro che m’inchiodava sottopagato ed al nero in uno spazio improbabilmente reale, e Via Pistoiese ruotava spinegendo le altre macchine e la poca gente alla fermata del 35 fin dietro la mia schiena, mentre iniziava ad avvicinarsi Via della Saggina, il cui centro per me era il Beijing Kuai Canting – rosticceria veloce Pechino, un piccolo ristorante cinese per cinesi ai confini tra i due quartieri con gli occhi a mandorla di Firenze, Brozzi e Peretola.
Lisa, in ritardo perchè aveva dormito troppo come al solito, mi sorride perché poteva sembrare che ci fossimo dati un imbarazzante appuntamento sulla porta del piccolo locale dei suoi, mentre dentro è la solita piena caciara: volti del quartiere di Nanli Shilu e di Tiantan di Pechino, indaffarati ad incartare i Luotiao fritti, a divorare Baozi fumanti, a sorseggiare zuppe calde con generose aspirate di spaghetti misti all’aria, per rendere tutto meno rovente.
Sul tavolo di Marco, il babbo di Lisa, una rivista: ExChange. In copertina un ritratto ad olio, un uomo ed una donna a cavallo, sotto dei cani, un sigillo rosso a sinistra, con Manet in 5° pagina, Modigliani in 7°, e poi quadri ad olio cinesi: è d’arte. E di nuovo Monet e Renoir accanto, con sotto un acquerello ed un olio cinese, delicati e pastellati come i capelli, il sorriso e gli occhi della bimba bionda di Renoir, e solo il veleggiare di Lisa dietro il banco e fra i tavoli mi abbaglia lo sguardo, con le pagine che si abbassano e mi riappaiono già voltate davanti. Anche lei si eclissa però quando vengo investito da un quadro allucinante, una scena scura, polverosa e sporca di calcina, un paesaggio umano di una dozzina di volti d’operai.
Illuminati.
Da una luce calda, che mi fa sentire voci, vedere colori, respirare odori.
Tutto in un istante, e sono nel mezzo della colazione di quel cantiere edile, proprio come quello di Pechino, di fronte alla fermata del 15 che alle 5 e mezzo spaccate di tutte le mattine si presentava in fondo alla curva nebbiosa per portarmi a Tiantan Gongyuan.
Un soffio.
I mesi in Cina.
Gli anni di vita passati da quell’Ottobre a questo Marzo appena iniziato.
Da quella mattina ad oggi ho iniziato a desiderare, immaginare, pensare e costruire. Questo lavoro a matita, ed altri che hanno già preso forma o che non si sono ancora realizzati, sedimentati.
Ho tentato.
Quel qualcosa che era scaturito fin da quella mattina, ed ha iniziato a muovermi nel profondo, come dal profondo di quel di dipinto che scoprirò chiamarsi genialmente 工棚gōng péng – baracca da lavoro, scaturivano qui volti e quegli occhi, ritratti di ritratti.
L’autore avrà poi un nome: 徐唯辛 Xu Weixin, ma già da quella mattina, senza che di lui sapessi niente, e lui di me, iniziammo a dialogare e cominciammo il nostro exchange, proprio come si scambiavano sguardi i volti dei due quadri della pagina accanto, quello a toni di seppia del vecchio dipinto seduto sul minuscolo panchetto nella minuscola casa-stanza, e quello d’infinita stanchezza, allucinato e completamente ricoperto di carbone del minatore.
Uomini. Come me, come l’artista Weixin, anche lui un giorno nato, ad 乌鲁木齐 Urumuqi. Anche lui laureato due volte, all’Accademia di Belle Arti di Xi’an ed all’Accademia dell’Arte dello Zhejiang. Lui, adesso, docente presso la Scuola di Arte Xu Beihong dell’Università Renmin, uno dei pittori cinesi contemporanei più grandi, sicuramente il più importante dei realisti: i sui quadri mi hanno toccato.
Mi sono rimasti nel cuore e nella mente.
In quelle scene, in quei paesaggi di uomini: osservo e provo lo stesso dramma, la stessa commozione, la stessa fierezza che vedevo, seduto sul marciapiede ad aspettare il 15, negli occhi lontanissimi di quegli uomini a 20 metri da me, sguardi du cui ho visto pullulare la Pechino e la Shanghai accanto a dove ho abitato. Come negli occhi della bambina di Songzalin di Limonta, diventati sulle orme di Ilario Fiore il mio Mal di Cina, vedo in quegli sguardi la stessa luce fiera e quel senso di smarrimento e paura che mi chiede: ma che cosa sarà del mio destino?
Questo è la mia dannazione, questo è il mio tesoro.
Voglio parlarne, voglio dipingerne.
I volti di questa matita, allora, non tanto come ritratti dei più anonimi dei più operai, ma esseri pieni d’umanità, individui. Fratelli della bambina di Songzalin, tutti figli di una Natività, come lo sono quelli dipinti da Weixin nelle serie ” I ritratti del vuoto” ed in “Cronache di minatori cinesi”, in cui l’artista parla di un solo tema: l’uomo.
Scelgo di gettare luce radiante su coloro che sono al buio, invisibili, indistinti e trascurati. Mi con-centro tra coloro che sono i dispersi, anche dal “si-vive” della massa anonima e della collettività.
I ritratti di Weixin ai miei occhi sono monumenti: ai loro piedi non solo mi sento ispirato, ma sono letteralmente proiettato da spettatore a protagonista, gettato ad arrampicarmi con le mani per toccare il marmo e le venature, dei volti e delle mani, la Cina quotidiana che conosco, la metafora di un mondo in cui oso vivere e di cui oso parlare.
Concentro il mio sguardo e le mie matite su questi eventi, sul confronto e sulla riflessione di questi momenti storici della mia contemporaneità e del mio vivere.
Pretendo. Di dipingere ciò che provo, di esprimere quello che m’imprime, di rappresentare cosa vedo e come lo vedo: miope.
Non posso vedere confini precisi e linee nette, tanto meno cerco di copiare, ma tento di rendere omaggio ad un’opera ed a realtà già raggiunte.
Sono, in punta di matita, uno di loro, al risveglio, dopo il sonno pesante di più di un miliardoeduecentomilioni di mattoni.
Sono affamato, sono assetato, mi nutro e bevo anche di Weixin.
Mastico per riuscire ad ingerire, rumino per metabolizzare e per rivivere.
Allora mi sento, allora mi scopro: vivere, ed essere! Non solo esistere.
Sulla carta scura, tra uomini che mi sono vicini, tra colori di stanchezza e di polvere.
Pretendo. Di tentare.
Di divenire tassello di un mosaico.
Parte ed elemento di insiemi di cui sono intersezione.
Ritraggo la vita che vivo e che conosco.
Qualcosa di diverso dal chiasso di certe rivoluzioni di belle facce colorate ed entusiastiche.
Giambologna: Ercole ed il centauro – Loggia della Signoria
Uscire di casa e disegnare è una delle cose più belle da fare, specialmente col calduccio della primavera e col patrimonio artistico che Firenze offre per i miei studi…
利玛窦 Lì Mǎdòu – Ritratto a Mattero Ricci, acquerello su carta
Uniche due note che vorrei fare, del tutto personali: giudicare un quadro da una foto lo vedo davvero arduo, e che quando si presenta un lavoro con un titolo, che questo sia mantenuto nell’edizione di un catalogo perchè almeno personalmente, scelgo titoli che sono parte indispensabile del lavoro che presento. Un po’ diverso chiamare un lavoro che raffigura un ponte “ponte” o chiamarlo come avrei deciso io e presentato “ritratto a Matteo Ricci“.
Forse è stato pensato che ci potesse essere un errore anche perchè non credo che sia tanto nota la figura di Ricci, ed allora già che ci sono metto il link alla voce di Wikipedia ed alla fondazione Matteo Ricci.
Non è che il tempo sia stato dei migliori, ma comunque siamo riusciti a fare un bel giro, e passando da Massa Marittima, poi siamo scesi alla cara vecchia Torre Mozza a poltrire al solicchio!!!
Quel ristorantino tibetano è uno dei nostri ristoranti preferiti di Lijiang si trova in fondo a Dongda jie, la via che se percorsa fino in fondo porta al grande mulino ed alla piazza da cui è possibile incamminarsi per Heilong Tan.
Claudia a Lijiang, profilo: matita colorata su carta, cm 19 x 23
Oltre che per il cibo incredibilmente buono, questo piccolo ristorante-pub tibetano, offriva questa comoda terrazzina dove sedersi e rilassarsi, ed osservare il viavai placido – a volte frenetico – della splendida Lijiang sotto i nostri occhi.