Portraits de Chine, 付洋Fu Yang à 北京什刹海体育学校 Beijing Shichahai Tiyu Xuexiao ~ école sportif Shichahai à Beijing. @rendezvousducarnetdevoyage #prestigifyart #rendezvousducarnetdevoyage — presso 什刹海.
Tu dove sei?
Nell’immensa vastezza del mondo,
ma tu dove sei?
Anche nel luogo più lontano del mondo
io sono sempre accanto a te.
Ma dove sei?
Nella violentata estensione di questo mondo
tu dove sei?
Sono nel luogo più candido del mondo,
nel tuo cuore,
nel lembo di questo fiume di vita
che canta per te
Smeriglia e acceca
la vetriglia liquida del sole
nelle pozze ad ogni passo di luce abbaglia
in via dei Cimatori ed in via de’ Cerchi
verso la Signoria con la sua torre ed i suoi archi,
mentre Firenze piove
si mezzano e sbioccano nel sole
i suoi densi sparpagliati borghi
e mi attrae nel suo mettere in luce
presagi in sole di appena primavera
che formicola e brulica di vita,
di vita e luce mista alla piovana scroscia,
che sgronda tra un incendio e l’altro
del sole delle due riflesso che mi scaglia
all’angolo rifugio di folla e d’acquazzone,
vicino alla torre dei Caligai,
in via dei Cimatori sotto il braccio fiorentino,
dopo pranzo appena ebbro di vino,
mi godo il sole avvampare appena
appena dopo il diluviare di uno scroscio,
mentre scorre un fiume di persone
fra gli odori ed i sapori fiorentini
di trippa lessa che da piazza dei Cimatori
arriva fino a via de’ Tavolini,
e sotto la torre di Boccadiforno
mi perdo nel sole
che ha appena fatto il suo ritorno.
C’era già
e noi la cercavamo
chiamandola verità.
C’era
ed era
in veste sempre varia
la stessa
sempre rinascente
identità –
di che? Di ciò che era
stato
ed era
e diveniva
se stesso continuamente
nell’anima
nella materia,
eterna primavera
appunto
dell’identità, rigoglio della presenza.
C’era e noi la ignoravamo
intenti a fabbricarla
con la nostra caducità,
oh non per solo spreco,
non per sola vanità.
Prativo suolo e mare
nella bianca calma,
bianca una nuvola incurante in volo
Sembra,
vero ?
Condensata luce di desiderio.
Da quella luce vengon su le creature:
piante e cose
quasi l’aria le sollevi
crescono tutte in radiosità
mentre Livorno tiene
alla rada le sue navi buone.
Così l’alba la ricevo in me,
così mi vien deposta dentro
fino ai polmoni ed ai piedi,
con quella sua nube di sole sorto
più o meno trasparente
desta anche lei al trillo frumentino
di annuncio di primavera appena presente,
vigorosamente mattino
ed il ciuffo del mare
degli alberi al sole radente
sfronda foglie al vento ed ai flutti umani
in quest’oasi di boschi urbani
verso il sole,
spera di opacità della luce
delle miriadi degli astri
apparsi insetti
increati in quel diluvio d’aria,
ed i palazzi quasi mitili di quel mare,
ed i suoi abitanti
mitili dell’essere in vita.
Alba.
Luce che dissera la palpebra notturna
come regola del mondo si conferma
mentre cresce lentamente il giorno,
smisuratamente luce sole imperatore
e le mie ossa suddite devote
che ne bevono i raggi
golose delle prime ore.
Mi soffia nel respiro
mi guarda negli occhi
e mormora bisbigli fruscii di fogliame
e prati inondati di eco e riflessi
dorati occhieggi,
e fiumi di
visioni
mi sgorgano nella vista
nel petto e fra le dita.
Il mondo col suo manifestarsi
continuo,
a ondate,
a raffiche e grida e contemporanei aliti
appena percettibili in aneliti
da me
altra sua manifestazione
tra miliardi di vite,
ed il vibrare della polvere d’argento delle stelle
contemporaneamente al sole,
alla luna,
a tutto ciò che è materia nota
ed alla sua negazione dimostrata,
o solo intuita,
o ignorata per i nostri mezzi umani
dell’esperienza, scientificamente
io.
Non sono che niente.
Eppure.
Il mondo favorevole o avverso
in questo momento,
in questo multiverso
gioca con me,
nel suo apparire multiplo così uno,
così perfettamente coordinato,
nella casualità dell’incidente della vita,
della morte,
della pace nevicata che tutto ammanta
ed il noto quotidiano ovatta. Incanta.
Mi scrosciano negli occhi queste immagini
riesco a pena appena a far fronte
con l’esperienza,
la lettura e lo scrivere
il tentativo di esprimere e descrivere
dopo aver fatto mio,
qualcosa di già scritto da altri arti
di essere vivente
il mondo esistente di se stesso efferente.
Essente io
atomo di umanità
ed umanità granello d’arenile della biosfera,
ciò che scrivo del mondo
di me stesso analogo
suo son io,
sua è la mia voce
nel nostro straripante dialogo.
Coltivo un filo di seta
mi è testimone il mare coi suoi gabbiani,
oppure al parco una Lachesi pensierosa
dal volto di gazza,
e alberi,
pochi,
ed alcuni cespugli,
molte formiche ed insetti a fiondate.
Coltivo un filo di seta.
Avvolgo e sdinapo
anche quando si occulta nel cupo
dei più neri cunicoli delle mie viscere
o ai miei tendini induriti si aggroviglia
in mortiferi labirinti dei miei blocchi.
Oppure,
inerte dei miei limiti si atrofizza
nei falsi lucori che tengo,
privati e agli occhi di una pubblica piazza.
Coltivo un filo di seta.
No.
Non lo taglio,
non lo disperdo,
almeno provo a non lasciarlo,
per nessun illecebro paradiso,
per nessuna illusione di riparo,
in marci eremi di violenza,
truccata nel fortilizio dell’efficacia pretesa,
o nel cretto del combattimento della scienza
e della bugia dell’autodifesa.
Coltivo un filo di seta.
Questo filo,
che è mio e non mi appartiene,
mio del tutto da quando mi è stato donato
passando per molte mani tramandato
da occhi lontani di oliva
in orbite di mandorla viva.
Coltivo un filo di seta.
In due parole in cosa consiste?
Al primissimo albiccare,
muoversi praticando intensamente
portar l’intenzione al presente
il respiro al ventre
la forza nei polpastrelli,
spostare il peso e ruotare
piacere inspiegabile di una pratica antica,
segreta fatica
del coltivare un filo di seta.