Saette,
saette brune fulminano
sopra il gregge accucciato dei sassi.
Traiettorie d’aria sotto l’arco cuciono
col ponte che si arrampica dai massi.
Rondini ad ali tese mulinellano,
squarci d’aria, stridii, attimi, sentieri,
i rimasugli sfilacciati rimescolano
delle nubi vaporose dei pensieri.
Stille,
stille di pioggia e luce percolano,
sfavillano apparsi insetti a frotte a frotte,
nel fradiciume del profumo della pioggia,
nell’ombra gettata dalla volta a botte
del ponte che sul Romito aleggia
sui mezzi cespugli brillanti gocciolano
rondini a fiondate birbanti sfrecciano.
Virgole,
Virgole nel romanzo del mare
a pelo d’acqua interpungono la vita,
ed è alla vita lo stridio ed il garrire
tra nere ali e di suicidio nere dita.
Sassate in aria di rondini come ghiaia
bianchi ventri sotto la galoppata in cielo
della grondaia del ponte a Calignaia
volar di rondini e grazie a loro volo.
L’alba striscia a fiotti sulla proda
inonda i brani delle mura delle case,
scivola si posa rosa sulla pioda,
prosegue
quel che di tramonto rimase
tra ramo e ramo il crepitio del sole
degli alberi che sciorinano la foglia.
La gazza fugge
il gabbiano che si scaglia
e sveglia l’abbraccio nelle aiuole d’erba.
Il mattino m’infradicia gli occhi di nuovo
con le nidiate cinguettanti dei colori.
L’erba mi accompagna mentre muovo
lento,
quasi fermo,
per esplodere fuori
forze rilassate e sciolte, quasi schegge.
Cerco di forgiarmi alla legge
della pratica che amo, quotidiana.
Regina del cambiamento è la mattina
quando ancora molto dorme
ed il silenzio enorme
copre il suono del frastuono quotidiano, lascia posto
ad un parco coi suoi attimi di bosco.
Alla fonte d’acqua fresca brevi squilli
dentro al verde sono i fiori viola e gialli.
Schietto
il sole miete ed affastella
raggi d’oro che profumano di paglia
e scaldano lo sguardo che accavalla
il blu della mia ombra sulla boscaglia.
Luna corre in festa,
Lascia la palla
ai miei piedi tra una forma e l’altra.
Lancio in aria, lei corre e l’addentella
al volo e ritorna al gioco scaltra.
Riprendo a praticare, entro in me stesso.
Vista tatto e udito cambiano sede
e consistenza, l’aria è turgore e flusso,
sprofondo nel respiro mentre siede
ogni movimento giunto al suo fondo.
Scorre intorno agli occhi tutto il mondo.
Sonnecchia Ferrara,
la sera è scesa
dal chiostro la notte si è quasi distesa
su nero velluto striato d’argento
mezza di falce di luna in discesa
grondante di stelle brillanti col vento
colano in basso gocce di diamanti
cascata d’argento i loro raggi
ricordi di luce i loro messaggi
di materia simile a memorie e pensieri.
Dorme Ferrara,
Vento fresco la culla,
nella stanza in cui dormo a casa di amici
ninnananna di grilli
friniti felici
Ondate di suono come di risacca
azzurro cantare turchino di mare
Sofia a Mascagni poteva respirare
per l’ultima volta?
Labrone profumo.
Appoggiata al muretto
guardava in basso dal quel parapetto
coi capelli in giù come liscia cascata
Sistri neri e lucenti.
Stregava Nettuno e tutti i venti
si riunivano per darle una carezza.
Il mare di Livorno,
promesso suo sposo,
baciava col sole tutto il suo viso.
Lo scoglio amaranto
con conchiglie e con granchi
guardavano in su i suoi occhi brillanti.
Fu l’ultimo giorno che mi venne donato
Fu l’ultimo giorno da esser vissuto.
La vita è un prestito che scade col lutto.
Ed ogni possesso,
illusione che avvinghia,
ho certezza che dovrò renderne tutto,
nemmeno un unghia
mi sarà lasciata.
A questa equazione precisa e perfetta
Risponderò con ogni mia parte.
Con ogni mio organo ed ogni mia fetta.
Non trovo alcun senso
conservare in disparte
Nessuna risorsa del mio essere umano:
la mia vita è acqua e mi cola di mano.
Piuttosto che stringere avide dita
nascondermi e mentire in questa partita
con tutto me stesso mi giocherò tutto
finquando il mio prestito
salderò col mio lutto.
Dorme Ferrara
Rotola il vento
da un treno lontano
fischio e sferragli che svaniscono piano.
Ritorna il frinire del viola di notte.
Ritorno sdraiato sul letto di amici.
La vita è un dono in cui esser felici.
In un mondo dominato dalle merci
La vita è l’entità più mercificata.
L’esistenza asservita e ricattata.
La fortuna eccezionale
di un lavoro “normale”
È la svendita delle ore
della nostra!
Propria!
Unica!
Esistenza!
A disposizione dell’esigenza
Del profitto di altri.
Guardatevi!
Guardateli!
I ruoli ideati!
Per i sottoposti ed i subordinati
Per esser solo loro piacevoli sono pensati.
Riflesso delle necessità
del profitto e dell’avidità
Per la concentrazione del capitale
Divorando ogni essere vivente,
ogni morale.
Nessun individuo
libero
davvero
Baratterebbe spontaneamente il mistero
Del proprio finito tempo esistenziale
Per creare ed ammucchiare
altrui capitale.
E questo quando si è fortunati!
Anche se “liberi imprenditori”
Ai “governanti” comunque subordinati.
Sottoposti assiderati.
Mensilmente cristallizzati
Dalla sorte di un “buon lavoro” baciati.
Esiste solo il tempo per lavorare.
Alimentarsi e riposare.
La vita è ridotta ad un ruolo
Non si è essersi umani, ma solo
Operai, imprenditori, dipendenti,
ingranaggi contribuenti
Di una macchina che è di noi stessi
Che io dico che si alimenti.
Della nostra unica!
propria!
esistenza!
Guardatevi.
Guardateli.
Gli schifosi ministrucoli e governanti.
A parte qualche scheletrica guida
I fautori del destino della nostra vita
Sono tutti ben pasciuti,
pingui,
illibati.
Sono tutti degni di chi li ha votati.
I propri elettori.
Siamo dei nostri stessi figli i seviziatori.
La nostra vigliaccheria ci rende
I loro taciti stupratori.
La vita.
Ha perso ogni significato
Col doppio ruolo inculcato
di lavoratore-consumatore
Che il capitale
– per il nostro bene
Ha pensato.
Com’è possibile?
Quale demenza ha colpito
Le masse da stadio a tappeto?
Che ruggiscono ad un rigore rubato?
O dibattono sul calciomercato?
Mentre ci ipotecano la vita?
E quella dei nostri figli?
E quella dei loro figli?
La nostra unica!
Propria!
Esistenza!
La rondine squilla la freschezza
Dell’ombra che trapunge il sole lento.
Al masso impenetrabile del tempo
Il mare mormora lentezza.
Come miele è il fumido sarmento
Che ronza e che si sparge dentro il vento,
Di voci poche e rotte,
Gabbiani mogi,
E miei occhi che vagan tutt’intorno,
E palme che mormoran presagi,
Vertiginosi insetti a frotte a frotte
Si spengono in scintille sui pelagi
Merlati da colonne e da muretti.
È un vento improvviso e ricco
Che densi porta immersi i sensi al mare.
Il grano bruno dei rondoni fiocca
Miete il cielo e salpa fra le vele
Di un’aria in cui profuma il viola
Dell’ombra rannicchiata sui gradini:
Lasciando il calore agli arancioni,
Azzurra si ritira dalla ghiaia,
Pasce aghi di pino sulla scacchiera.
Si sveglia la città!
pungono i suoni
Che rotolano lungo la carraia.
Mi svello dalle polveri che ottundono
La vita e ogni ciò che le pertiene.
Ricordi di ogni 20 Giugno mi trafiggono
Mio babbo che mi muore nelle vene.
Ardendo questo prestito di vita
Divengo quel che sono in divenire.
Le mie mani,
i piedi, le mie dita,
Con me dovranno sparire.
Neanche un’unghia mi resterà attaccata.
Tutto sarà reso, equazione perfetta
Rimarrà di mio il mio poterti amare
Il tenerti stretta.
Se dici Giugno.
Data nascosta!
Due parole.
E le stelle?
Il mare per te le raddoppia a cucchiaiate.
E le navi alla rada?
La luna per te le bagna d’argento.
E le luci?
Sono di materia bionda,
Le stessa tua e di quei riccioli
Che ti festeggiano con miracoli di boccoli.
Se dici Giugno.
Data nascosta!
Due parole.
E tu?
Il cristallo
Dove brilla il vino delle stelle
E col tuo passo?
In trapunta di piedi
Rosicchi d’argento il viola di ogni notte.
E quando ridi?
Gli astri si muovono a cercarti
E con gli occhi?
Mieti raccolti illuminati di vento.
Se dici Giugno.
Data nascosta!
Due parole.
Ti amo.
Io non sono le mie mani!
Sono le mie mani che son mie!
Io sono le mie idee
E le mani loro prensili estroflessioni.
Le mie mani sono tra i miei strumenti.
Del mio essere estensioni.
Io non sono le mie mani!
Sono l’ente che le muove.
Sono chi tra dieci dita
Crea intenzioni,
O a crearle almeno provo
Con le mani che mi trovo.
Tu sei le tue mani?
O le tue natiche?
Io non sono le mie mani!
Chirurgia spietata e inetta,
Parte vivisezionata
da sineddoche perfetta.
Dita di vento frugano i colli,
Solleticano il sole abituato al cielo
Folto di stormi di rondini in volo,
Garriti nitenti guizzi fra stalli.
Dita d’amore fra i tuoi capelli,
Carezze di ponti fra biondi ruscelli
che scorrono miele alla tua pancia,
sorridi corallo mi abbagli d’arancia.
Ventaglio castagna di Gheppio elegante,
Allarma il Rigogolo cenere e giallo,
Veleggia in cerchio rotondo e paziente,
Si rimpiatta tra i rami il sonno del Merlo.
Ventaglio di vita io ti respiro,
Gusto il tuo tocco, il tuo sguardo sento,
Della materia che sei ne traspiro
L’essenza, ne assimilo ogni elemento.
Il cielo si gusta con nuvole bianche
E il mare smeraldo di alberi e biade
I papaveri artisti che disegnano stanche
Le traiettorie di palindrome strade.
Pervaso sono dallo sguazzare di foglie
E piove il tramonto fuoco vivo nel cielo
Affumica d’oro mosaici di scaglie
Di parole di pesci col dono del volo.