La nostra unica propria esistenza

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In un mondo dominato dalle merci
La vita è l’entità più mercificata.
L’esistenza asservita e ricattata.
La fortuna eccezionale
di un lavoro “normale”
È la svendita delle ore
della nostra!
Propria!
Unica!
Esistenza!
A disposizione dell’esigenza
Del profitto di altri.

Guardatevi!
Guardateli!
I ruoli ideati!
Per i sottoposti ed i subordinati
Per esser solo loro piacevoli sono pensati.
Riflesso delle necessità
del profitto e dell’avidità
Per la concentrazione del capitale
Divorando ogni essere vivente,
ogni morale.

Nessun individuo
libero
davvero
Baratterebbe spontaneamente il mistero
Del proprio finito tempo esistenziale
Per creare ed ammucchiare
altrui capitale.
E questo quando si è fortunati!
Anche se “liberi imprenditori”
Ai “governanti” comunque subordinati.
Sottoposti assiderati.
Mensilmente cristallizzati
Dalla sorte di un “buon lavoro” baciati.

Esiste solo il tempo per lavorare.
Alimentarsi e riposare.
La vita è ridotta ad un ruolo
Non si è essersi umani, ma solo
Operai, imprenditori, dipendenti,
ingranaggi contribuenti
Di una macchina che è di noi stessi
Che io dico che si alimenti.
Della nostra unica!
propria!
esistenza!

Guardatevi.
Guardateli.
Gli schifosi ministrucoli e governanti.
A parte qualche scheletrica guida
I fautori del destino della nostra vita
Sono tutti ben pasciuti,
pingui,
illibati.
Sono tutti degni di chi li ha votati.
I propri elettori.
Siamo dei nostri stessi figli i seviziatori.
La nostra vigliaccheria ci rende
I loro taciti stupratori.

La vita.
Ha perso ogni significato
Col doppio ruolo inculcato
di lavoratore-consumatore
Che il capitale
– per il nostro bene
Ha pensato.
Com’è possibile?
Quale demenza ha colpito
Le masse da stadio a tappeto?
Che ruggiscono ad un rigore rubato?
O dibattono sul calciomercato?
Mentre ci ipotecano la vita?
E quella dei nostri figli?
E quella dei loro figli?
La nostra unica!
Propria!
Esistenza!

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La rondine squilla la freschezza

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La rondine squilla la freschezza
Dell’ombra che trapunge il sole lento.
Al masso impenetrabile del tempo
Il mare mormora lentezza.
Come miele è il fumido sarmento
Che ronza e che si sparge dentro il vento,
Di voci poche e rotte,
Gabbiani mogi,
E miei occhi che vagan tutt’intorno,
E palme che mormoran presagi,
Vertiginosi insetti a frotte a frotte
Si spengono in scintille sui pelagi
Merlati da colonne e da muretti.
È un vento improvviso e ricco
Che densi porta immersi i sensi al mare.
Il grano bruno dei rondoni fiocca
Miete il cielo e salpa fra le vele
Di un’aria in cui profuma il viola
Dell’ombra rannicchiata sui gradini:
Lasciando il calore agli arancioni,
Azzurra si ritira dalla ghiaia,
Pasce aghi di pino sulla scacchiera.
Si sveglia la città!
pungono i suoni
Che rotolano lungo la carraia.
Mi svello dalle polveri che ottundono
La vita e ogni ciò che le pertiene.
Ricordi di ogni 20 Giugno mi trafiggono
Mio babbo che mi muore nelle vene.
Ardendo questo prestito di vita
Divengo quel che sono in divenire.
Le mie mani,
i piedi, le mie dita,
Con me dovranno sparire.
Neanche un’unghia mi resterà attaccata.
Tutto sarà reso, equazione perfetta
Rimarrà di mio il mio poterti amare
Il tenerti stretta.

 

Se dici Giugno. Data nascosta!

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Se dici Giugno.
Data nascosta!
Due parole.
E le stelle?
Il mare per te le raddoppia a cucchiaiate.
E le navi alla rada?
La luna per te le bagna d’argento.
E le luci?
Sono di materia bionda,
Le stessa tua e di quei riccioli
Che ti festeggiano con miracoli di boccoli.

Se dici Giugno.
Data nascosta!
Due parole.
E tu?
Il cristallo
Dove brilla il vino delle stelle
E col tuo passo?
In trapunta di piedi
Rosicchi d’argento il viola di ogni notte.
E quando ridi?
Gli astri si muovono a cercarti
E con gli occhi?
Mieti raccolti illuminati di vento.

Se dici Giugno.
Data nascosta!
Due parole.
Ti amo.

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Tu sei le tue mani, sineddoche perfetta

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Io non sono le mie mani!
Sono le mie mani che son mie!
Io sono le mie idee
E le mani loro prensili estroflessioni.
Le mie mani sono tra i miei strumenti.
Del mio essere estensioni.

Io non sono le mie mani!
Sono l’ente che le muove.
Sono chi tra dieci dita
Crea intenzioni,
O a crearle almeno provo
Con le mani che mi trovo.
Tu sei le tue mani?
O le tue natiche?
Io non sono le mie mani!
Chirurgia spietata e inetta,
Parte vivisezionata
da sineddoche perfetta.

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Dita di vento frugano i colli

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Dita di vento frugano i colli,
Solleticano il sole abituato al cielo
Folto di stormi di rondini in volo,
Garriti nitenti guizzi fra stalli.

Dita d’amore fra i tuoi capelli,
Carezze di ponti fra biondi ruscelli
che scorrono miele alla tua pancia,
sorridi corallo mi abbagli d’arancia.

Ventaglio castagna di Gheppio elegante,
Allarma il Rigogolo cenere e giallo,
Veleggia in cerchio rotondo e paziente,
Si rimpiatta tra i rami il sonno del Merlo.

Ventaglio di vita io ti respiro,
Gusto il tuo tocco, il tuo sguardo sento,
Della materia che sei ne traspiro
L’essenza, ne assimilo ogni elemento.

Il cielo si gusta con nuvole bianche
E il mare smeraldo di alberi e biade
I papaveri artisti che disegnano stanche
Le traiettorie di palindrome strade.

Pervaso sono dallo sguazzare di foglie
E piove il tramonto fuoco vivo nel cielo
Affumica d’oro mosaici di scaglie
Di parole di pesci col dono del volo.

 

Venero io

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La mia vita non è
casualità biologica riuscita
e con psicologia spiegata.
Il fiume è la mia vita!
Mistero liquido che scorre da me.

Mentre conventicole credule
partiti, università e sette,
compiono, insegnano ed intelligono,
fallisco, disimparo e traviso.
Venero io la musica,
forma altra del tempo,
come il gioco dei bimbi:
qualcosa di così vicino,
mistero che si tocca.

Venero io lo specchio,
forma solida del placido,
performazione della memoria,
magia che osa duplicare,
con incantesimo di fil d’acqua,
fatta di luce fuggita dal greto,
sfuggita alla condanna
del mentire e del segreto.

Venero io il tuo bacio e l’orgasmo,
il prima che è ogni suo dopo,
tempo fattosi dita,
a-morte che colma il vuoto,
fianco di luna rotondo,
forma turgida del retto.
Venero io la tua vita,
E la vita che tu hai dato
Misterioso incantesimo biondo.

 

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