La mia vita non è
casualità biologica riuscita
e con psicologia spiegata.
Il fiume è la mia vita!
Mistero liquido che scorre da me.
Mentre conventicole credule
partiti, università e sette,
compiono, insegnano ed intelligono,
fallisco, disimparo e traviso.
Venero io la musica,
forma altra del tempo,
come il gioco dei bimbi:
qualcosa di così vicino,
mistero che si tocca.
Venero io lo specchio,
forma solida del placido,
performazione della memoria,
magia che osa duplicare,
con incantesimo di fil d’acqua,
fatta di luce fuggita dal greto,
sfuggita alla condanna
del mentire e del segreto.
Venero io il tuo bacio e l’orgasmo,
il prima che è ogni suo dopo,
tempo fattosi dita,
a-morte che colma il vuoto,
fianco di luna rotondo,
forma turgida del retto.
Venero io la tua vita,
Misterioso incantesimo biondo.
Affettuoso vaporoso mare
bussa alla mia città.
Un gregge disperso d’incensi bianchi
Le vele fiorite sbocciate nel blu
Scivolano giù dalle mie ciglia
In fronde di salmastri e luce.
Sbanda e galleggia nel muto
Frastuono di ogni cobalto
La trafila delle navi del vento:
Si appoggia sul profumo di mare,
Soffia e dispiuma i passeri
Delle nubi che fumano dall’indaco.
Il cielo è i garriti dei rondoni,
Il fienile dei raggi del sole
E vagabonde caravelle dei gabbiani.
La gazze si annuvolano appena.
Grandine di confidenze di merli
Sui segreti di semi agli alberi.
La costa è il suono bianco
Della risacca che bacia a ondate.
Sprofondo respiro, sono il mio centro,
L’aria è turgore che toccano le dita.
La Terrazza curva lenta
Rotolando intorno persone.
A cosa serve tutto questo, Per chi è?
Dove corrono queste lettere? Perché?
Serve forse a qualcosa la vita
se non alla vita?
Il fine della pratica non è la pratica?
Foschia d’oro.
L’oriente illumina la finestra.
Tre Amarilli e due Gelsomini dischiudono profumi.
Esisto,
Sono vivo.
Sono mio e Tu sei con me.
Il respiro delle gatte insegue il tuo sonno
Che sospira a qualcuno
Che cammina col suo cane
Che abbaia al giorno,
Al vento
Fresco
Che ti accarezza le ciglia
E ci porta voci
Da oltre il cortile
Dove
Il sole canta caldo,
Il merlo compone opere di caffè e giallo,
La gazza impertinente protesta,
Il gabbiano sapiente ride, ride e ride:
Ride bianco,
Ride aria,
Ride foschia d’oro.
L’oriente illumina la finestra.
Tre Amarilli e due Gelsomini dischiudono profumi.
Esisto.
Sono vivo.
Sono mio e Tu sei con me.
Foschia d’oro.
L’oriente illumina la finestra.
Tre Amarilli e due Gelsomini dischiudono profumi.
Esisto,
Sono vivo.
Sono mio e Tu sei con me.
Il respiro delle gatte insegue il tuo sonno
Che sospira a qualcuno
Che cammina col suo cane
Che abbaia al giorno,
Al vento
Fresco
Che ti accarezza le ciglia
E ci porta voci
Da oltre il cortile
Dove
Il sole canta caldo,
Il merlo compone opere di caffè e giallo,
La gazza impertinente protesta,
Il gabbiano sapiente ride, ride e ride:
Ride bianco,
Ride aria,
Ride foschia d’oro.
L’oriente illumina la finestra.
Tre Amarilli e due Gelsomini dischiudono profumi.
Esisto.
Sono vivo.
Sono mio e Tu sei con me.
Le vie di Firenze sono le mie vene.
Non le avide arterie scomode
Di sangue folla e trambusto,
Ma quelle invisibili
Magari per abitudine,
Magari perché un po’ nascoste,
Dove suonano le stesse antiche stelle
Che si vedono rincasando
La sera a Soffiano.
~~~G~~~
Le vie di Firenze sono le mie vene.
Dove accarezza l’odore del gelsomino
Che ti bacia d’estate in bocca
Appena dietro San Marco di sera,
O magari di sabato pomeriggio
Appena sotto la Limonaia.
~~~G~~~
Le vie di Firenze sono le mie vene.
Magari dove si è così talmente soli
Che s’impara ad ascoltare
Fino al silenzio
del merlo addormentato.
Voglio trascinarmi fuori della biblioteca
Nel pericoloso vento della strada
Abboccarmi con la bellezza che oltrepassi
Le mura della musica da camera.
Voglio scrivere come se illustrassi
Con lettere i miei pensieri.
Lasciar gocciolare le parole sulla carta.
Pieni, vuoti, musica di sfere.
Se questa è poesia
– Non m’interessa che lo sia
O in un sistema letterario
l’integrazione mia. –
Più che centro sia epicentro,
il mio vivido reagente ritroso.
Imminente rivelazione che non si produce.
Incanto di un palpitio di rondine
In cui stai per dirmi il tuo segreto.
Ad esempio la parola treno.
Dove corre?
È necessaria una ferrovia.
E anche una destinazione?
Intendo: con precisione?
Oppure basta andare, io non conduco.
Esser condotto.
Esser seduto.
E carrozze nuove o malandate,
Vetture.
Io sono condotto seduto
in una vettura di un vettore.
E controllore.
Ho il biglietto anzi no!
Sono abbonato.
Dunque treno è pendolare quotidiano.
Macchinista e capotreno.
Alba e tramonto al finestrino.
Oro inciampa ed accarezza.
Occhi sbocciano striature
Come il miele, quel colore
Quando lo attraversa luce.
Noce.
Treno è noce passeggera.
Passeggeri i suoi utenti.
Tanti?
Pochi?
Sempre troppi.
E comunque sempre occhi.
Sguardi schivi e rumorosi.
Ancor più della ferraglia
Del treno che sfreccia a tutta birra.
Treno,
che cosa?
I miei libri.
Fame e sete di poesie.
Borsa piena da scoppiare.
Di parole di cui non parlare
Da immaginare d’immaginare.
Treno è parole
E cos’altro?
Treno
è scrittura.
Treno è autori da prendere appunti
Da prendere a pugni
Nella faccia e sui fianchi.
Per i finali e gli incidenti
Di percorso delle rime
su cui deraglio.
Treno è versi
su cui mi scaglio.
Treno.
Ma che altro?
Paesaggi.
Passaggi di paesaggi.
Allusioni di messaggi.
Sullo sfondo la lentezza
E davanti
soloiltempodiunosguardo.
Treno.
Anche a bordo sicuramente
È respirare continuamente.
Che fatica farlo sempre.
Treno allora
è compreso nel respiro.
Come tutto treno è mentre.
L’articolo Treno sembra essere il primo su XIUART.
Mi è bastato volerlo,
E quella sera intorno a quell’ora
Io volavo.
Sotto.
La folla arrotondata di stadio
rumorosa rotolata
al guinzaglio degli affari.
La vita?
Compiangerli?
Forse mi compiangono?
Mi divorano.
Divorano il paese.
E mi hanno divorato
Fino alle ossa del silenzio della sera.
A quell’ora.
– Mi è bastato volerlo.
Ed ho volato.
Sotto. –
Le urla virili nere verde bile
mi vomitano a destra.
E i cori a voci rosse
mi vomitano a sinistra
Dove
Il macellaio insanguinato del tramonto
Ha appena finito di sventrare
carogne di vacchenubi.
Capisco.
La merda è normale.
E ci vuole poco per infiammare
Persone pazze come me.
– Mi è bastato volerlo –
Volo.
Sono sopra la mia casa,
Ed il rapporto con mio padre,
Ed il libero arbitrio.
E sopra a tutto cosa c’è?
Ci sono piedi di luna rosa impertinenti:
Camminano tra le nubi
E i raggi ultimi di giorno
Raccolti al seno di frumento
in fasci di sole
Da dita di rondine.
Mi è bastato volerlo.
Volo.
E sotto,
La folla di puttani ingradinati intribunati
Ritornata a casa.
Dispersa.
Lo so!
In realtà diffusa.
Capillarizzata.
Come la metastasi del cancro.