Tu sei le tue mani, sineddoche perfetta

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Io non sono le mie mani!
Sono le mie mani che son mie!
Io sono le mie idee
E le mani loro prensili estroflessioni.
Le mie mani sono tra i miei strumenti.
Del mio essere estensioni.

Io non sono le mie mani!
Sono l’ente che le muove.
Sono chi tra dieci dita
Crea intenzioni,
O a crearle almeno provo
Con le mani che mi trovo.
Tu sei le tue mani?
O le tue natiche?
Io non sono le mie mani!
Chirurgia spietata e inetta,
Parte vivisezionata
da sineddoche perfetta.

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Dita di vento frugano i colli

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Dita di vento frugano i colli,
Solleticano il sole abituato al cielo
Folto di stormi di rondini in volo,
Garriti nitenti guizzi fra stalli.

Dita d’amore fra i tuoi capelli,
Carezze di ponti fra biondi ruscelli
che scorrono miele alla tua pancia,
sorridi corallo mi abbagli d’arancia.

Ventaglio castagna di Gheppio elegante,
Allarma il Rigogolo cenere e giallo,
Veleggia in cerchio rotondo e paziente,
Si rimpiatta tra i rami il sonno del Merlo.

Ventaglio di vita io ti respiro,
Gusto il tuo tocco, il tuo sguardo sento,
Della materia che sei ne traspiro
L’essenza, ne assimilo ogni elemento.

Il cielo si gusta con nuvole bianche
E il mare smeraldo di alberi e biade
I papaveri artisti che disegnano stanche
Le traiettorie di palindrome strade.

Pervaso sono dallo sguazzare di foglie
E piove il tramonto fuoco vivo nel cielo
Affumica d’oro mosaici di scaglie
Di parole di pesci col dono del volo.

 

Venero io

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La mia vita non è
casualità biologica riuscita
e con psicologia spiegata.
Il fiume è la mia vita!
Mistero liquido che scorre da me.

Mentre conventicole credule
partiti, università e sette,
compiono, insegnano ed intelligono,
fallisco, disimparo e traviso.
Venero io la musica,
forma altra del tempo,
come il gioco dei bimbi:
qualcosa di così vicino,
mistero che si tocca.

Venero io lo specchio,
forma solida del placido,
performazione della memoria,
magia che osa duplicare,
con incantesimo di fil d’acqua,
fatta di luce fuggita dal greto,
sfuggita alla condanna
del mentire e del segreto.

Venero io il tuo bacio e l’orgasmo,
il prima che è ogni suo dopo,
tempo fattosi dita,
a-morte che colma il vuoto,
fianco di luna rotondo,
forma turgida del retto.
Venero io la tua vita,
E la vita che tu hai dato
Misterioso incantesimo biondo.

 

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Venero io

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La mia vita non è
casualità biologica riuscita
e con psicologia spiegata.
Il fiume è la mia vita!
Mistero liquido che scorre da me.

Mentre conventicole credule
partiti, università e sette,
compiono, insegnano ed intelligono,
fallisco, disimparo e traviso.
Venero io la musica,
forma altra del tempo,
come il gioco dei bimbi:
qualcosa di così vicino,
mistero che si tocca.

Venero io lo specchio,
forma solida del placido,
performazione della memoria,
magia che osa duplicare,
con incantesimo di fil d’acqua,
fatta di luce fuggita dal greto,
sfuggita alla condanna
del mentire e del segreto.

Venero io il tuo bacio e l’orgasmo,
il prima che è ogni suo dopo,
tempo fattosi dita,
a-morte che colma il vuoto,
fianco di luna rotondo,
forma turgida del retto.
Venero io la tua vita,
Misterioso incantesimo biondo.

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Affettuoso vaporoso mare bussa alla mia città

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Affettuoso vaporoso mare
bussa alla mia città.
Un gregge disperso d’incensi bianchi
Le vele fiorite sbocciate nel blu
Scivolano giù dalle mie ciglia
In fronde di salmastri e luce.

Sbanda e galleggia nel muto
Frastuono di ogni cobalto
La trafila delle navi del vento:
Si appoggia sul profumo di mare,
Soffia e dispiuma i passeri
Delle nubi che fumano dall’indaco.

Il cielo è i garriti dei rondoni,
Il fienile dei raggi del sole
E vagabonde caravelle dei gabbiani.
La gazze si annuvolano appena.
Grandine di confidenze di merli
Sui segreti di semi agli alberi.

La costa è il suono bianco
Della risacca che bacia a ondate.
Sprofondo respiro, sono il mio centro,
L’aria è turgore che toccano le dita.
La Terrazza curva lenta
Rotolando intorno persone.

A cosa serve tutto questo, Per chi è?
Dove corrono queste lettere? Perché?
Serve forse a qualcosa la vita
se non alla vita?
Il fine della pratica non è la pratica?

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Foschia d’oro

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Foschia d’oro.
L’oriente illumina la finestra.
Tre Amarilli e due Gelsomini dischiudono profumi.
Esisto,
Sono vivo.
Sono mio e Tu sei con me.
Il respiro delle gatte insegue il tuo sonno
Che sospira a qualcuno
Che cammina col suo cane
Che abbaia al giorno,
Al vento
Fresco
Che ti accarezza le ciglia
E ci porta voci
Da oltre il cortile
Dove
Il sole canta caldo,
Il merlo compone opere di caffè e giallo,
La gazza impertinente protesta,
Il gabbiano sapiente ride, ride e ride:
Ride bianco,
Ride aria,
Ride foschia d’oro.
L’oriente illumina la finestra.
Tre Amarilli e due Gelsomini dischiudono profumi.
Esisto.
Sono vivo.
Sono mio e Tu sei con me.

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Foschia d’oro

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Foschia d’oro.
L’oriente illumina la finestra.
Tre Amarilli e due Gelsomini dischiudono profumi.
Esisto,
Sono vivo.
Sono mio e Tu sei con me.
Il respiro delle gatte insegue il tuo sonno
Che sospira a qualcuno
Che cammina col suo cane
Che abbaia al giorno,
Al vento
Fresco
Che ti accarezza le ciglia
E ci porta voci
Da oltre il cortile
Dove
Il sole canta caldo,
Il merlo compone opere di caffè e giallo,
La gazza impertinente protesta,
Il gabbiano sapiente ride, ride e ride:
Ride bianco,
Ride aria,
Ride foschia d’oro.
L’oriente illumina la finestra.
Tre Amarilli e due Gelsomini dischiudono profumi.
Esisto.
Sono vivo.
Sono mio e Tu sei con me.

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Le vie di Firenze sono le mie vene

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Le vie di Firenze sono le mie vene.
Non le avide arterie scomode
Di sangue folla e trambusto,
Ma quelle invisibili
Magari per abitudine,
Magari perché un po’ nascoste,
Dove suonano le stesse antiche stelle
Che si vedono rincasando
La sera a Soffiano.

~~~G~~~

Le vie di Firenze sono le mie vene.
Dove accarezza l’odore del gelsomino
Che ti bacia d’estate in bocca
Appena dietro San Marco di sera,
O magari di sabato pomeriggio
Appena sotto la Limonaia.

~~~G~~~

Le vie di Firenze sono le mie vene.
Magari dove si è così talmente soli
Che s’impara ad ascoltare
Fino al silenzio
del merlo addormentato.
Le vie di Firenze sono le mie vene

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Voglio trascinarmi fuori della biblioteca

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Voglio trascinarmi fuori della biblioteca
Nel pericoloso vento della strada
Abboccarmi con la bellezza che oltrepassi
Le mura della musica da camera.

Voglio scrivere come se illustrassi
Con lettere i miei pensieri.
Lasciar gocciolare le parole sulla carta.
Pieni, vuoti, musica di sfere.

Se questa è poesia
– Non m’interessa che lo sia
O in un sistema letterario
l’integrazione mia. –
Più che centro sia epicentro,
il mio vivido reagente ritroso.
Imminente rivelazione che non si produce.
Incanto di un palpitio di rondine
In cui stai per dirmi il tuo segreto.

Kelly Slater by Kalani Miller

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